La violazione dei dati personali e del conseguente diritto alla privacy ha costituito uno dei temi caldi dell’ultimo periodo, reso pubblico anche attraverso l’uso dei social e gli scandali che ne sono derivati, come il più famoso Facebook-Cambridge Analytica. Tuttavia, viene spesso dimenticato che i dati personali costituiscono il corpo virtuale di qualsiasi utente, e una violazione di questi potrebbe portare ad una violazione su più fronti, e non solo il più famoso diritto alla privacy. Recentemente si è discusso molto di manipolazione dei dati a scopo politico, in quanto testate internazionali come il Washington Post hanno riportato la notizia dell’uso del software Pegasus da parte di diversi governi autoritari e venduto dall’israeliana NSO Group (produttrice di spyware avanzati) per spiare i cellulari di giornalisti, attivisti, oppositori politici, difensori dei diritti umani.  Tra i governi accusati del suo utilizzo vi sono l’Arabia Saudita, il Messico, gli Emirati Arabi Uniti e anche l’Ungheria di Victor Orban. 

Il software nasce con fini anti-terroristici, consentendo a chi lo opera di avere libero accesso a messaggi, foto, email contenute sul telefono “infettato”. Ciò che più sorprende del software è la sua capacità di attivare segretamente il microfono del dispositivo e convertire il telefono in una microspia. La lista dei telefoni segnalati dall’inchiesta condotta su Pegasus include più di 50mila numeri, tra i quali risalterebbero anche numeri di diversi capi di stato e premier, nonché giornalisti appartenenti alle più importanti testate come la Cnn, New York Times e molte altre.Il governo israeliano è chiamato a rispondere; diversamente da quanto dichiarato dalla NSO, gli abusi del software costituiscono la norma anziché l’eccezione. L’uso di Pegasus da parte di Israele ha influenzato le dinamiche geopolitiche attuali, riscontrabile nel noto Patto di Abramo tra alcune monarchie del Golfo così come anche i rapporti tra Israele e stati come Ungheria e Marocco. 
Il diritto internazionale sembra riconoscere solo in parte la vendita di queste armi informatiche, il che sembra sottolineare una mancanza da parte dell’autorità competenti, le quali posseggono strumenti molto rigidi per difendersi da queste violazioni (basti pensare al Regolamento europeo 679/2016, GDPR); tale software può essere installato anche a distanza e ne consegue un continuo rifornimento del mercato degli hacker, andando sempre più ad identificare il dato personale come una nuova moneta di scambio. 

Lo scandalo porta nuovamente a riflettere sull’uso delle raccolte dati, le quali si sono dimostrate più volte dolose non solo verso il diritto alla privacy ma, come appena dimostrato, ledono alla democrazia interna e spesso intaccano il diritto alla libertà di pensiero, espressione e in più di un’occasione vi sono stati scandali riguardanti le libere elezioni. L’unica soluzione proposta finora sembra essere quella di una moratoria internazionale sulla vendita di Pegasus. Come affermato dall’ex membro dell’intelligence americana Timothy Summers: “Non c’è nulla di male nello sviluppare tecnologie che consentono di raccogliere dati. Ma l’umanità non è in una situazione di poter rendere accessibile a tutti tanto potere”.