Quest’oggi il ministro dell’economia Daniele Franco si è espresso riguardo l’acquisizione imminente da parte di Unicredit dei Monti dei Paschi di Siena, dichiarando come per Mps non ci sono rischi di spezzatini all’orizzonte, nelle ipotesi che si sta percorrendo con Unicredit, la sola banca che si sia fatta avanti. L’aggregazione rappresenta, secondo il ministro, «la soluzione strategicamente superiore dal punto di vista dell’interesse generale del Paese» ed è « motivata sotto un profilo industriale». Invece ci sono, e tanti, rischi e incertezze in un’ipotesi stand alone, nei fatti impraticabile. Franco conferma la linea tenuta finora dal Mef sul Montepaschi: massima attenzione all’occupazione e al marchio, ma assolutamente nessun passo indietro rispetto agli impegni presi con la Commissione. «Non vi sono le condizioni per mettere in discussione la cessione»; dunque, nessuna richiesta di rinvio dei termini all’Ue: anche perché, sottolinea il ministro, il nuovo piano industriale messo a punto da Mps «presenta alcuni obiettivi non conformi con gli impegni» presi con l’Unione Europea, «in particolare in merito a quello relativo alla riduzione dei costi». Ricordando i 21 mila dipendenti del gruppo, che saranno tutelati con «una pluralità di strumenti», il ministro ha sottolineato che «nel caso probabile in cui la Commissione Ue ponesse un obiettivo più ambizioso» di riduzione dei costi per Mps, «gli esuberi di personale potrebbero essere considerevolmente più elevati» rispetto alle 2.500 unità di esodi volontari stimati dalla banca nel piano industriale. Franco chiarisce anche i possibili assetti futuri e in particolare il ruolo del Mef: Al termine dell’aggregazione, potrebbe ritrovarsi azionista di Unicredit. «È possibile che il ministero riceva azioni Unicredit, ma tale eventuale partecipazione non dovrebbe alterare gli equilibri di governance». Una vendita che dovrà avvenire a condizioni di mercato («Vorrei rassicurare che non si tratterà di una svendita di proprietà statale») anche se dal perimetro restranno fuori «i crediti deteriorati e il contenzioso legale». Nella trattativa per l’acquisto di Monte dei Paschi di Siena da parte di Unicredit c’è un dato che dovrebbe rassicurare. Negli ultimi dieci anni il settore del credito a livello europeo ha registrato circa 360 mila licenziamenti, nello stesso periodo di crisi le banche italiane non hanno licenziato nessuno. A fare da cuscinetto è stato il fondo esuberi bancari che assicura ai lavoratori l’accesso al pensionamento anticipato qualora raggiungano i requisiti minimi per il pensionamento nei sette anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro. Un ammortizzatore che garantisce, insomma, fino a sette anni di stipendio, sebbene ridotto di circa il 20%, traghettando i lavoratori al traguardo pensionistico. Uno schema sperimentato e rodato.

Il Monte dei Paschi di Siena è stato per decenni il feudo politico-finanziario della sinistra, e non è un caso se, andata in crisi la banca, è imploso anche il sistema di potere che controllava la città. Ora il Pd strepita per l’ipotesi che la storia della banca più antica del mondo finisca in uno spezzatino, con la parte sana incorporata in Unicredit. Ma la soluzione finale è solo l’inevitabile conseguenza delle azioni neanche troppo coperte fra una banca per secoli solidissima e gli interessi di una politica sempre più pervasiva. Una galassia che il Financial Times descrisse in modo brutale: «Un semplice scambiarsi soldi tra amici». MPS, insomma, si è progressivamente trasformato da banca del territorio senese in strumento finanziario della politica di sostegno alle ambizioni nazionali della sinistra, grazie anche a causa delle operazioni finanziariamente sbagliate di fronte alle quali il soccorso pubblico, fatto di prestiti esaustivi, non è mai mancato. La tensione di questi giorni è dunque solo l’ultimo capitolo di una lunga saga di conflitti d’interesse tutti interni al maggior partito della sinistra italiana che candida proprio nel seggio di Siena il suo segretario nazionale, in una sorta di Risiko politico-finanziario dagli esiti ancora incerti e in cui il Pd non si rassegna ad ammettere di non avere più una banca che possa sostenere efficacemente il partito.