Negli ultimi due anni sono stati vari i modi di raccontare il disagio e l’impotenza che la pandemia
ha portato nelle vite di ognuno di noi e “Siccità” di Paolo Virzì è probabilmente la narrazione più
convincente che sia arrivata nelle sale
.

I fantasmi su Roma

Un racconto corale fatto di intrecci, di amori, di paure che hanno come sfondo quella di una Roma
dilaniata dalla carenza di acqua, da una strana malattia che sembra allargarsi a macchia d’olio e,
soprattutto, dai fantasmi.

Il passato

“Siccità” di Paolo Virzì è infatti una pellicola che ha a prima vista l’intento di narrare ciò di cui l’uomo avrà più
paura nel futuro, come l’incertezza e la precarietà, tuttavia radica la sua trama in quello che è da
sempre il nemico giurato dell’individuo: il passato. Tanto è vero che gli eventi che hanno luogo
sono tutti frutto di scelte, drammi e rimpianti dei quali i protagonisti subiscono gli effetti come
delle marionette passive, intente a districarsi da uno schema che hanno creato e che, nel
presente, è troppo tardi da cambiare.

Uno sguardo ai personaggi

I personaggi si incontrano e si scontrano tra di loro, in dinamiche strutturate e coerenti le une con
le altre, rispettando molto il criterio della verosimiglianza. Ed è così che come il tassista
squattrinato ritrova la ex moglie così un evaso dal carcere ritrova la figlia; allo stesso modo un
giovane ragazzo ragazzo si innamora, mentre un giovane uomo perde il suo, in un continuo
saliscendi ciclico familiare e sociale.

Le occasioni mancate

La vera ‘Siccità’ raccontata da Virzì difatti è quella della mancanza della volontà dell’agire, delle
occasioni di metamorfosi che sfuggono all’uomo troppo occupato a circondarsi di ciò che effimero
e che in un modo o nell’altro tornano nelle relazioni, nei rapporti che si instaurano, che si creano,
che si cercano, che si ritrovano e che alla fine, sono tutto quello che rimane.

Francesca Di Pasquo