Sono state necessarie più di 50 defezioni tra ministri ed esponenti del suo governo nel giro di 48 ore prima che Boris Johnson, prossimo ex primo ministro britannico, decidesse di dimettersi.

Johnson ha anticipato alla Regina Elisabetta la sua decisione in una breve conversazione telefonica che è stata definita “di cortesia”.

Nella giornata di ieri, dopo le incontrollabili indiscrezioni trapelate nella mattinata, in un discorso alla nazione pronunciato in Downing Street, Boris Johnson ha rassegnato le sue dimissioni:

“Darò tutto il mio sostegno al nuovo leader […] sto per rinunciare al miglior lavoro del mondo.”

Johnson rimarrà ovviamente però in carica fino alla scelta del suo successore, a seguito di una fase di transizione che sembra possa concludersi in autunno.

Oltre che da primo ministro però Johnson si è dimesso anche da leader Tory e questo significherà che i deputati conservatori dovranno individuare un successore, che sarà scelto a seguito di un processo che vedrà in una prima fase delle votazioni interne fra i parlamentari Tory e successivamente coinvolgendo la base del partito.

Colui o colei che risulterà essere il vincitore sarà di fatto anche premier.

In attesa quindi di questo processo Johnson si è preparato a sistemare la sua squadra di governo fino a questo autunno, procedendo alla sostituzione di Michael Gove con Greg Clark nel ruolo di ministro per il Livellamento delle Diseguaglianze Territoriali.

La fuga di massa dal governo quindi la causa del terremoto politico che è imperversato ieri in Gran Bretagna, ma in realtà quello a cui si è assistito ieri è stato soltanto l’atto finale di una parabola discendente iniziata il 5 luglio con la defezione di due ministri chiave dell’esecutivo di Johnson, ovvero il cancelliere dello scacchiere Rishi Sunak e il ministro della sanità Sajid Javid.

Dopo essere a malapena sopravvissuto quindi al voto di fiducia, che vedeva ben il 41% dei conservatori esprimersi contro di lui, l’addio di Brandon Lewis, ministro per l’irlanda del Nord, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Oltre il terremoto politico non è poi mancata la reazione dei mercati, dove si è registrato un balzo della sterlina, arrivata fino a 1,199 nel cambio col dollaro mentre l’euro si è attestato ad un cambio di 85,23 pence.