Cari lettori, la settimana scorsa ci siamo lasciati con l’emersione della Russia post-sovietica, quella per intenderci che inizia ad emergere lentamente nella Glasnost di Gorbaciov. La Glasnost, per chi non lo sapesse, fu quell’insieme di riforme in senso liberale e liberista che l’allora segretario del PCUS intraprese con lo scopo di svecchiare il proprio Paese e proiettarlo nel futuro, abbattendo la pesante burocrazia sovietica e concedendo le classiche libertà(religione, stampa, iniziativa economica, spostamento)ai cittadini sovietici.

Ebbene la storia costituzionale della Russia non inizia però con Gorbaciov negli anni ’90 ma nel 1936 con Stalin. Questa costituzione, sulla carta democratica e socialista, rimase in gran parte inattuata. Venne leggermente modificata nel 1948 e confluì in una versione definitiva nel 1977. Queste costituzioni si incentravano sui diritti del cittadino-lavoratore ma restavano gravemente lacunose per quanto riguarda una precisa divisione dei poteri dello Stato. Si orla infatti per quanto riguarda le costituzioni dei Paesi socialisti, di costituzioni di principio, ispirate ai principi del marxismo ideologico classico.

L’URSS si dissolve tra il 1989 e il 1991: lo Stato comunista universale cessa di esistere e al suo posto sorgono delle repubbliche indipendenti, di cui la Russia si pone come autorità maggiore nonché erede morale della storia sovietica. Proprio in Russia viene approvata con referendum popolare una nuova costituzione nel 1993.

La costituzione russa del 1993 è largamente ispirata alle costituzioni occidentali: scompaiono tutti i richiami al marxismo, tornano(stavolta anche nella prassi)le libertà democratiche e liberali. Lo Stato viene organizzato in una repubblica presidenziale forte, definita un misto tra il sistema francese e quello americano. L’idea di un forte capo di Stato, eletto democraticamente in Russia, viene salutata ai tempi come un evento necessario dalla maggior parte dei Paesi occidentali. Al contempo si avvia un processo di riforma nel diritto privato e si assiste alla privatizzazione di molti beni e agglomerati produttivi statali.

Ai tempi tuttavia la Russia si trovava in una situazione politica ed economica da terzo mondo: le vecchie industrie di Stato venivano fagocitate da ex-apparachik trasformatisi in tycoon dal giorno alla notte, mancava il cibo nei supermercati perché nessuno lo produceva e chi lo produceva lo vendeva a prezzi altissimi, la polizia e l’esercito erano preda della corruzione più nera, le minoranze asiatiche e cecene sembravano sull’orlo della secessione dal resto del Paese. L’allora Presidente Boris Eltsin era un vecchio ex-comunista, alcolista cronico, lei cui gaffe da ubriaco lo fecero diventare presto oggetto di scherno. Il governo era esercitato dai suoi ministri, che prendevano direttamente ordini dai potenti oligarchi.

Le cose cambiarono nel 2000 quando venne eletto il suo pupillo, Vladimir Putin, già Primo ministro. La politica di Putin è decisamente improntata al modello europeo, alle libertà politiche come obiettivo da realizzare al termine di un percorso per la cui realizzazione è necessario uno Stato forte, che da Putin non viene individuato come un’anomalia, ma come uno strumento necessario per riportare ordine per mettere fine ai processi di disgregazione politica alla fine degli anni ’99. Quello a cui punta il progetto politico putiniano è la garanzia di un ordinato cambiamento, secondo un modello della democrazia guidata (simile all’Ungheria di Orbán). Libertà e welfare le nuove parole d’ordine.

L’allontanamento dai valori occidentali si realizza dal 2004, in coincidenza col secondo mandato presidenziale di Putin. Anno che coincide con la prima rivoluzione arancione in Ucraina. Questa seconda fase di Putin è caratterizzata da un progressivo irrigidimento interno sotto svariate forme, da ultime le leggi recentemente approvate che restringono le libertà personali. Ha come esito la riforma costituzionale del marzo 2020, riforma che ha diversi profili, accentua la preesistente verticalizzazione delle strutture di governo politico-istituzionale, crea una commistione tra politica e religione indicando quella Cristiano-Ortodossa come uno degli elementi fondamentali dello Stato russo, al pari della lingua e della storia comune.

Ma la riforma del 2020 è famosa soprattutto per aver tolto Putin dall’impaccio costituito dal limite del doppio mandato per le cariche di Presidente e Primo Ministro della Federazione russa: da adesso le due cariche si azzerano. In pratica non si applica più questo limite a chiunque abbia ricoperto la presidenza prima dell’entrata in vigore dei relativi emendamenti alla costituzione (in altre parole, prima del 2020). Pertanto il presidente Vladimir Putin e l’ex presidente Dmitry Medvedev possono candidarsi alla presidenza per altre due volte.