La scarsa prestazione offerta in termini di efficienza in combattimento dalle truppe dell’Esercito Italiano nel corso della Seconda guerra mondiale è oramai appurata dalla storiografia internazionalmente riconosciuta. In particolare, una delle forze armate che offrirono la prestazione riconosciuta come peggiore, fu quella della componente corazzata.

La prestazione offerta dai nostri soldati fu veramente così scarsa? Si trattò di una questione di muscoli o di cuore, o per meglio dire, il problema erano gli uomini o le attrezzature?

La Divisione Corazzata Ariete

In questo articolo tratteremo gli avvenimenti svoltisi tra il 1940 e il 1943 in Nord Africa, dove le forze corazzate italiane, ed in particolare la Divisione Corazzata Ariete, in collaborazione con le truppe tedesche dell’Afrika Korps, si trovarono a fronteggiare le controparti corazzate prima inglesi e poi americane.

Il divario di forze

Le forze corazzate italiane, come gli altri corpi dell’esercito, si trovarono ad operare con attrezzature inferiori rispetto agli avversari. Uno dei primi punti da analizzare sta nel fatto che, nonostante la Regia Martina Italiana si sia profusa in sforzi immani per mantenere attiva la catena degli approvvigionamenti dirette in Nord Africa, restava il fatto che ogni componente umano e materiale della Divisione Ariete doveva essere portato dal suolo metropolitano a quello coloniale, transitando per una rotta mediterranea non priva di rischi. Superato il problema dello spostamento, iniziavano i problemi più seri.

Il problema maggiore che i nostri carristi si trovarono a fronteggiare fu l’inadeguatezza dei propri mezzi, sia a confronto con gli alleati che con i nemici. Il carro armato di punta che le nostre forze misero in campo fu l’M13/40, dove il numero 13 sta ad indicare il peso in tonnellate del carrarmato. Già questo dato è indicativo dell’inferiorità del mezzo in confronto alle controparti principali, che dal lato alleato era il Panzer IV da 22 tonnellate, mentre per quanto riguarda gli avversari, l’inglese MK II da 27 tonnellate e verso la fine della campagna nordafricana l’americano M4 Sherman da 30 tonnellate.

Oltre alla differenza di tonnellaggio, che già denota una pesante inferiorità del mezzo italiano rispetto agli altri carri presenti in teatro, i carri italiani erano anche poco adatti ad operare nelle condizioni climatiche del Nord Africa. Inoltre, i mezzi italiani, al contrario degli altri carri, presentavano una corazzatura rivettata la quale era molto meno resistente rispetto a quelle avversarie. Per concludere questa triste disamina delle caratteristiche tecniche notiamo l’armamento principale dell’M13/40 composto da un cannone da 47mm, il quale risultava praticamente inefficace contro i mezzi avversari.

Il sacrificio di una divisione

Tenendo a mente questa chiara e netta inferiorità italiana in termini di attrezzatura, risulta ancora più evidente la prova di coraggio e valore umano offerto dai carristi italiani, che non esitarono a sacrificare la loro vita, nonostante fossero consci delle condizioni di estrema inferiorità nelle quali si trovavano a combattere e che comunque non si sottrassero mai allo scontro.

Questo valore umano è particolarmente evidenziato dall’ultimo messaggio radio inviato dalla Divisione Ariete il 4 novembre del 1942, poco prima di essere completamente annientata nel corso della Terza e ultima battaglia di El Alamein:

Carri armati nemici fatta irruzione a sud. Con ciò ariete accerchiata. Trovasi circa cinque chilometri a nord ovest Bir el Abd. Carri ariete combattono.”

Con questo articolo non si vuole assolutamente glorificare la guerra o peggio ancora gli ignobili ideali che la generarono, ma si vuole fare luce sul sacrificio di tanti giovani uomini, che a prescindere dai loro ideali, più o meno aderenti alla causa fascista, risposero alla chiamata che la loro patria gli fece e compirono il loro dovere con la consapevolezza di dover combattere in condizioni di pesante disparità.